di Teresa Ragusa
Pubblicato sul giornalino “Tutto Castello”, n° 10 – ottobre ’96
Nel tempo in cui Berta filava, vale a dire l’epoca pre-industriale, la nonna, la sorella e la figlia di Berta pure filavano: esisteva cioè una “ereditarietà” lavorativa basata sulla collaborazione familiare più tendente a tramandare l’insegnamento che a produrre ricchezza da reddito e/o favorire le abilità individuali. E Berta, per la sua condizione familiare (nonché sociale), non poteva far altro che filare qualunque altra fosse stata la sua abilità manuale.
Come invece l’epoca industriale sia riuscita a rimescolare le carte economiche e sociali di una civiltà tendenzialmente contadina e artigianale a produzione limitata e dai lavori tramandati, questo è ormai storia. All’interno di questa storia, la pronipote di Berta non sapeva più filare anche se lavorava in un’industria tessile.
Ad un sistema produttivo globale ove ogni lavorante iniziava e portava a termine il proprio lavoro, si sostituisce infatti un sistema produttivo parcellizzato (Taylorismo) basato sulla specializzazione manualistica di ogni unità lavorativa; sul controllo dei tempi di lavoro su persone scelte; e sull’aumento della produttività individuale in funzione di un diversificato compenso. Così la pronipote Berta contribuiva a rompere quella struttura gerarchica di collaborazione domestica definita dalle tradizionali regole familiari in cui il più anziano insegnava ai suoi diretti discendenti quanto appreso nella sua esperienza lavorativa. Vero è quindi che se la pronipote di Berta non poteva nulla insegnare ai suoi figli di quello che lei faceva in fabbrica, i figli dal canto loro potevano apprendere altri lavori, più o meno qualificanti, fuori dal contesto famiglia.
L’uomo in relazione all’ambiente di lavoro
In questo senso l’industria fa muovere e crescere nuovi sistemi di apprendimento del lavoro (si pensi ad esempio alle scuole professionali) e nuovi modi di investire la propria manodopera (ad es. l’emigrazione). Alla complessità produttiva che avanzava, sorgeva la necessità di studiare le relazioni tra l’uomo ed il suo ambiente di lavoro. E se nell’epoca in cui Berta filava, il disagio provocato ad es. da una scarsa illuminazione (giornate brevi e nuvolose, forzato risparmio sulle candele, ecc.) poteva essere motivo (diciamo) sufficiente per rendere meno proficua la giornata lavorativa, e con essa la qualità del lavoro, per i discendenti di Berta la scarsa produzione giornaliera non dipendeva da ciò.
Un’indagine (1924), molto nota nel campo della psicologia del lavoro, tendente a controllare le condizioni di lavoro suscettibili di aumentare la produttività, considerava l’ipotesi che l’efficienza produttiva potesse venir aumentata creando condizioni ottimali di illuminazione in contrapposizione ad un calo produttivo nella condizione di una diminuita illuminazione dell’ambiente lavorativo. Ciò che si riscontrò fu che nel periodo della conduzione della ricerca gli aumenti della produttività non erano dovuti alle diverse condizioni di illuminazione, bensì dal morale più alto degli operai che sapendo di fungere da soggetti sperimentali si sentivano trattati in modo speciale, ed avere la sensazione che l’azienda si occupasse di loro (effetto Hawthorne).
Il risultato sorprendente di questa “pionieristica” ricerca nel campo industriale, dette inizio ad un programma di ricerca che poneva in primo piano l’aspetto delle relazioni umane nell’industria, ma ancor più in generale, avviò un nuovo modo di concepire l’uomo nel suo ambiente di lavoro.
L’uomo e i suoi potenziali
Tante sono infatti le caratteristiche utili perché una persona possa riuscire meglio di un’altra nella propria attività. Così, ad esempio, a parità di capacità intellettive e/o manuali, esistono differenze più o meno significative tra individuo e individuo nell’affrontare e svolgere un certo compito a seconda che si considerino i ritmi biologici, la resistenza all’affaticamento e allo stress, l’immediatezza operativa, la motivazione al successo, ecc. Tutto questo rientra nel sistema di indagini relative alla selezione e all’orientamento professionale. Quindi, se il lavoro è un modo di condotta acquisito per apprendimento, e questo è maggiormente vero nella società moderna, dove la formazione professionale è un fenomeno costante, ancor più l’uomo d’oggi deve fare i conti non solo con quanto ha appreso a ma anche in quali condizioni fisiche, psichiche ed ambientali è in grado di mettere a frutto le sue conoscenze e capacità.




