Non accennerò alla paura della morte fisica perché è egualmente trasversale; perché la psicoterapia si occupa di chi vive, non di chi muore; perché esiste l’aspetto spirituale – qualunque esso sia (di fede o ateismo). Mi limito solo a porre una domanda:
Perché la morte fisica di un caro coglie sempre impreparati, anche se una lunga malattia ci ha dato il tempo della preparazione?
Io non ho le risposte, e nemmeno ci provo perché questo sorprendente dolore va oltre la questione psicologica, almeno credo. Lo dico da credente (seppure agnostica) e perché conosco solo questo tipo di reazione, non quella per intervento dell’eutanasia.
Quel che so sull’impreparazione, lo so come tutti gli altri: la morte di un caro ti toglie la terra sotto i piedi senza chiederci il permesso.
Vengo alla psicoterapia del lutto non elaborato, essa accoglie il vissuto della persona, come si è strutturato l’evento luttuoso, rileva gli effetti e cerca di capire come aiutare.
Senso di abbandono, dolore dell’anima, vuoto, colpa, vertigini, segnano inevitabilmente il momento della perdita e con l’elaborazione spontanea rimarginano la ferita per dare senso alla nostra vita e quella degli altri cari (resilienza insita nell’essere umano).
Per i motivi di cui sopra, e poiché la paura della morte fisica è comunemente intesa, inizio i cenni sulla paura della morte dell’ego, quella necessaria al dispiegamento evolutivo della persona.
Al riguardo, alcune persone preferiscono rimanere nella prigione delle scelte sbagliate piuttosto che affrontare questa morte, diversamente detta “cambiamento”. E se non è la prigione di scelte sbagliate perché i genitori non li scegliamo e neppure i meccanismi di difesa, preferiscono difendere questi dolori piuttosto che lasciarli e fare il funerale al vecchio estinto.
Le scelte sono inevitabili, come la morte, non possiamo non scegliere, e quando vediamo che ci intrappolano tentiamo le soluzioni necessarie per viverle al meglio.
Le soluzioni funzionano grazie alla collaborazione, non quando non c’è, allora si ritorcono contro per la reiterata insistenza, o per rivalsa al non detto di chi le boicotta, o per non aver compreso qual è il vero problema, o per sordità mentale verso l’altro, o… Tutti questi scenari – e altri possibili – appartengono all’impasse relazionale ma non è esclusa la componente di dipendenza economica verso il coniuge o il datore di lavoro; ma stiamo alle relazioni di coppia.
Di solito sono le donne a non avere un’autonomia economica e possono essere prede della loro scelta di dipendenza dal partner, si sa il denaro ha i muscoli come il picchiatore.
Ci sono donne che non conoscono i loro diritti e subiscono, ma quando ne sono a conoscenza, si attivano; altre non si attivano neppure dopo perché hanno paura di rimanere sole: “Chi mi vuole?”, è un esempio di domanda interiore e mantengono la prigione.
C’è anche la soluzione interiore (probabilmente la stessa che dette origine alla prima scelta): aspettare il principe che le salvi, ma non arriva perché dalle favole non escono.
Morte, morte in qualsiasi modo la mettano, scelgono di morire dentro. E già i figli, dove li mettiamo?
Al solito posto: davanti a noi, come scudo sacrificale e, quando crescono, creare altri motivi per non lasciare il vecchio e andare al funerale dell’estinto.
Si è osservato che le coppie che funzionano sono come se viaggiassero sullo stesso treno e alternano la guida quando non riposano insieme; le crisi le superano.
Quelle che non funzionano o stanno su treni diversi, o sullo stesso, ma uno sta nella motrice e l’altro nel vagone: non disturbate il conduttore; alias, i passeggeri vogliono godersi il panorama, non disturbate i passeggeri.
Come dicevo, la psicoterapia si occupa di fare morire quel che non funziona con manovre che sbloccano le risorse e bloccano la disfunzione, la scelta della separazione è delle persone, non del terapeuta.
Le ricerche per intervento del gruppo di Palo Alto (California), hanno messo a punto delle soluzioni possibili superando schemi teorici obsoleti e non di aiuto. Prima ancora fu Milton Erickson a porre in atto interventi efficaci. Le sue scoperte a-teoriche, perché impostate sul come aiutare, sono ancora oggi una miniera per gli psicoterapeuti pragmatici. È grazie a queste scoperte che lo psicoterapeuta efficace ed efficiente è in grado di aiutare anche le persone che portano un problema di lavoro, ambito inaccessibile alle teorie di stampo psicoanalitico.
Togliendo il cappello dello psicoterapeuta, per mettere quello dello psicologo, grazie ai modelli sistemici, è possibile intervenire anche nelle organizzazioni. Al riguardo, ho avuto modo di ideare dei progetti mirati per le scuole che hanno dato molta soddisfazione ai ragazzi, agli insegnanti e a me.
Torniamo alla paura della morte dell’ego, in altre parole la paura di lasciare andare quella parte di noi che ci intrappola.
Questa paura è più dettata dalla preclusione di altre soluzioni, dall’impossibilità di altri punti di vista, dal non voler vedere e “accettare i nostri limiti e farne punti di forza” (Nardone), ma una volta guardata in faccia svela che eravamo più legati all’ego che al nostro essere.
Un ego mortifero, non vitale, che vuole rispecchiarsi nell’idea di sé anziché nell’essere, nell’inganno anziché il reale, nel volere avere sempre ragione anziché vedere l’errore.
“Non sono le cose in sé che ci preoccupano, ma l’opinione che abbiamo delle cose” (Epiteto).
Un ego che vuole cambiare l’altro, ma nessuno cambia se non lo vuole. Ecco la paura della morte dell’ego.
A volte è un sintomo su tutti, il motivo per il quale le persone chiedono aiuto, altre volte è una relazione insoddisfacente, oppure un figlio con gravi disturbi e non vuole fare terapia (in questi casi s’interviene su chi fa la richiesta d’aiuto), altre ancora è la fine di un rapporto, ecc.
Comunque, qualsiasi sia il problema o disturbo psichico per il quale le persone chiedono la psicoterapia, è necessario avere le informazioni sulle tentate soluzioni per capire il funzionamento dell’individuo o sistema, quindi capire come agire.




