Le emozioni sono parte della nostra vita e si legano al nostro modo di percepire e reagire alle cose e persone, possono quindi essere sollecitate dall’esterno (l’“oggetto” è fuori di noi) o dall’interno (l’“oggetto” è un pensiero, un’idea, un ricordo).
Per comodità, chiamiamo esogene le sollecitazioni esterne ed endogene quelle interne.
L’emozione endogena è la più complessa perché può essere il frutto di un pensiero proiettato nel futuro o nel passato, possiamo avere o no consapevolezza del pensiero che ha causato l’emozione.
La consapevolezza è di maggiore aiuto per focalizzare la situazione emozionale, ma non è detto che accada con linearità poiché può essere presente il conflitto con un’altra emozione e l’ansia attiva la difficoltà della chiarezza.
Se invece il pensiero è tanto fugace da scomparire all’istante lasciandoci l’emozione sollecitata, allora è molto probabile che il pensiero fugace abbia attivato un’emozione indesiderata.
Un pensiero fugace può essere tanto potente da sollecitare un’emozione che parte per la tangente e non sai perché succede: ti senti preda dell’emozione, non ricordi neppure d’averla appena appena chiamata che quella s’è subito destata.
Oppure quell’“oggetto” può essere la sollecitazione inconscia di un pregresso, quindi attribuiamo all’“oggetto” esterno un’eguale valenza: l’antipatia a prima vista per una persona, è un esempio, perché quella persona (o un particolare di essa) ci ricorda, consciamente o no, un’altra che ci ha fatto del male.
In generale, le emozioni e i processi cognitivi vanno insieme quando questi ultimi sono capaci di ascoltarle, leggerle, interpretarle, agirle.
Si può dire che l’emozione suggerisce e la cognizione dispone trasformandola in sentimento e azione. Ma quando la cognizione è sorda, allora l’emozione ha il sopravvento e ti frega.
In maniera controversa, anche un pensiero distratto può suggerire l’emozione e questa la fa da padrona se la cognizione vuole il controllo anziché porsi all’ascolto.
Sono numerose le emozioni provate dall’essere umano, ma la psicologia ne distingue fondamentalmente nove e sono: interesse, gioia, sorpresa, tristezza, rabbia, disgusto, paura, vergogna (comprende timidezza e colpa), noia.
Sono tutte utili per orientarci, anche se accade di perdere la bussola e ci facciamo intrappolare.
Come ad esempio nel caso della paura che non riconosciuta tale assume la forma dell’ansia che è uno stato caratterizzato da una sensazione di paura non connessa ad alcuno stimolo specifico. Essa si distingue dalla paura vera e propria per il fatto di essere aspecifica, vaga.
L’ansia è uno stato psichico più complesso della paura perché si estingue molto più lentamente proprio per la combinazione delle emozioni.
Ho deciso di parlare delle emozioni fondamentali per rilevare che esse fanno parte dei nostri apprendimenti, azioni, reazioni, creatività, ecc., secondo la maniera in cui le viviamo.
Certo, l’accesso a un’emozione può attivare la paura e dare origine all’ansia, anche il conflitto fra emozioni che non attivano la paura danno origine all’ansia.
In natura non esiste il conflitto emozionale, appartiene alla specie umana, solo gli animali domestici possono subire quest’accesso per la comunicazione confusiva perpetrata dall’uomo. In seguito, degli esempi aiuteranno a far comprendere quanto affermato.
La questione dell’ansia è peculiare anche per quel che concerne l’aspetto organico quando i sintomi ansiosi sono la conseguenza di una disfunzione e non la causa.
Un esempio, la disidratazione ispessisce il sangue, da principio il cuore cerca di compensare aumentando il numero di pulsazioni e la pressione sanguigna, che la persona percepisce occasionalmente come irrequietezza fino a sfociare in attacchi di panico; quindi a un processo organico corrisponde una sensazione d’ansia.
Anche l’ansia da prestazione può generare la stessa sintomatologia, quindi è sempre bene accertare che non vi siano cause organiche.
Veniamo ora a degli esempi sul conflitto emozionale. Come dicevo, un’emozione può richiamare la paura e da questa combinazione insorge l’ansia.
Potete non crederci, ma anche la felicità può richiamare la paura. Perché mai? direste.
Perché la mente, anziché viversi la felicità, proietta nel futuro la perdita, ed ecco che la felicità si trasforma in ansia.
Oppure la rabbia repressa può causare ansia per accumulo della tensione e inconsapevolezza dell’emozione provata (scarsa autostima).
O ancora…
Un bambino getta a terra il giocattolo che ha in mano e ride. Un genitore lo raccoglie e glielo dà sorridendo, l’altro genitore guarda infastidito. Per un po’ il bambino tiene il giocattolo ma poi lo butta a terra; stessa scena da parte dei genitori.
In breve tempo, il bambino è nervoso, butta continuamente il giocattolo, l’uno è sempre disposto a raccoglierlo mentre l’altro guarda storto.
La disponibilità di un genitore e il disappunto dell’altro hanno creato una tensione nel bambino che non si esaurisce, finché uno dei due non decide di mettere un freno.
E ancora…
“Che gioia stare con gli amici ma che palle i loro pettegolezzi” (riferimento al pettegolezzo segreto), “ci vado non ci vado, non so che fare; ma sì, chi se ne frega, meglio loro di quelli che mi lasciano”.
Su quest’ultimo punto, val la pena specificare che la segretezza del pettegolezzo è un’arma a doppio taglio: chi raccoglie il pettegolezzo, crede d’essere l’unico riferente proprio per il rapporto di segretezza ma, di fatto, è proprio così?
Non solo la posizione creduta “vera” è funzionale a non parlare di sé pur desiderando confidarsi e la risultante è sentirsi solo.
In breve, una posizione apparentemente dominante e di controllo, lascia la persona con la sensazione della solitudine che però non può ammettere e scatta la noia.
Ciò esemplificato, com’è possibile uscire da queste impasse?
Se non sai viverti la felicità, allora hai più dimestichezza con le preoccupazioni che altro.
Se vuoi smettere d’essere un campione di preoccupazioni, è il caso che impari ad avere dimestichezza anche con la felicità, quindi tutti i giorni metti in opera una piccola cosa che ti fa felice.
La rabbia non riconosciuta, si presenta nel tuo corpo con i sintomi, ad es. con il bruxismo (digrignare i denti nel sonno), o i dolori alla schiena, o altro. Allora, quando il sintomo si manifesta, ti sta aiutando a capire cosa non va.
Il genitore troppo coinvolto con il figlio, può imparare a coinvolgere l’altro affinché dia il suo contributo.
Per quanto riguarda i pettegolezzi segreti degli amici/che, la risposta che ti sei dato “Meglio loro di quelli che mi lasciano”, è una consolazione al Sé ferito.
Chiediti perché accetti la confidenza pettegola; cosa accadrebbe se smettessi di raccogliere i pettegolezzi; sei sicuro che confidino solo a te i loro veleni? E poi, cosa fai per farti lasciare dagli altri, come sei diventato così esperto?
Porsi le giuste domande è già un passo verso la soluzione.




